Arnold Böcklin e il dio Pan

Anello mancante tra i romantici del XIX e i simbolisti del XX secolo, Böcklin ha trovato in Italia l'Arcadia, scenario perfetto per le sue opere.

Arnold Böcklin (1827–1901) viene generalmente associato al suo quadro più famoso, L’isola dei morti (1880–1886), di cui il pittore svizzero dipinse addirittura cinque versioni che differiscono solo per dei particolari e per le tonalità dei colori. Risulta però interessante discostarsi un momento da questo terreno già battuto per approfondire lo sviluppo del tema mitologico da parte di Böcklin e in particolare le sue rappresentazioni del dio Pan, che talvolta appare come un fauno quieto e in sintonia con la natura, mentre in altri casi è raffigurato come un’entità distruttiva e turbolenta.

A Basilea, sua città natale, Böcklin inizia la carriera di pittore di paesaggi adottando uno stile cupo, misterioso e malinconico, secondo la tradizione del romantico Caspar David Friedrich. Dopo aver terminato gli studi al Gymnasium di Basilea e frequentato l’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, Böcklin si reca a Roma nel 1850 alla ricerca di un senso di libertà che non era riuscito a trovare in Svizzera. Da questo momento la sua pittura rispecchia un mutamento nel suo animo: si lascia alle spalle le rappresentazioni di fredde foreste del nord dall’aria minacciosa per impossessarsi di paesaggi campestri illuminati dal caldo sole del sud.

Nel 1854, il pittore svizzero sviluppa per la prima volta il tema mitologico con Siringa in fuga dall’attacco di Pan , il cui soggetto deriva da un episodio delle Metamorfosi di Ovidio. Il quadro è caratterizzato da uno stile convenzionale basato su modelli barocchi e la figura di Siringa ricorda quella di Dafne nel gruppo scultoreo Apollo e Dafne (1622–1625) di Bernini. Nel complesso, l’interpretazione di Böcklin rimanda anche al quadro dipinto nel 1637 da Nicolas Poussin sullo stesso tema.

In entrambe le tele, la ninfa spaventata scappa con le braccia al cielo dalle attenzioni non richieste del dio-satiro, veicolando quell’erotismo bucolico che contraddistingue Pan secondo i Greci. Durante il Rinascimento, da figura erotica, questa divinità diventa una manifestazione di libidine brutale, per poi tramutarsi grazie a Böcklin in un potente dio della natura, riprendendo la mitologia classica originale. Nella mitologia classica, infatti, Pan è un dio rurale, il signore della Sicilia di Teocrito e dell’Arcadia di Virgilio. In diverse opere che lo raffigurano, Böcklin cala questa divinità in una campagna ispirata ai paesaggi italiani, in un mondo tranquillo dove le persone vivono in sintonia con la natura. Il pittore svizzero ricrea diverse situazioni o momenti in cui è possibile scovare Pan: in Arcadia, sonnecchiante a mezzodì, mentre impugna un flauto o nell’istante in cui spaventa dei nemici. Dal 1855, Böcklin si discosta dagli archetipi barocchi per ritrarre un Pan più classico con Paesaggio boschivo con Pan addormentato, dove il dio è raffigurato disteso in una radura erbosa, solitario, con un flauto che sembra quasi scivolargli di mano. Questo dipinto riprende perfettamente la rappresentazione più antica di Pan che riposa nella calma del mezzogiorno, trasmettendo un senso di pace e tranquillità nella natura. La posa della divinità sembra inoltre richiamare la scultura di epoca ellenica Satiro ubriaco.

Tra il 1856 e il 1857, il pittore svizzero crea una prima versione di Pan nei canneti, ritraendolo seduto sulle sponde di un fiume mentre suona un flauto per delle rane in primo piano. Poco più tardi, Böcklin dipinge anche una seconda rielaborazione dello stesso quadro in cui però il protagonista appare più vicino agli occhi di chi lo osserva, così da sottolineare la sua personificazione della natura. Questa evoluzione nella raffigurazione di Pan si riscontra anche in altri quadri successivi.

Se in Paesaggio boschivo con Pan addormentato il dio-satiro rappresenta il silenzio della natura in un momento specifico della giornata e in Pan nei canneti intrattiene delle rane nella palude con della musica, Pan che spaventa un pastore costituisce un punto di svolta nel carattere calmo del fauno, almeno per come siamo abituati a vederlo in Böcklin. In entrambe le versioni del dipinto, Pan si trova infatti in cima ad una collina rocciosa mentre spaventa un povero pastore, le cui capre fuggono terrorizzate. La posizione incombente della divinità sulla sommità di pietra indica la sua inclinazione all’ira (da qui il termine “panico”), specialmente nei confronti di coloro che disturbano la sua quiete ed è in netto contrasto con le sue interpretazioni nelle opere precedenti di Böcklin.

I suoi numerosi quadri dal gusto classico riflettono l’avversione nei confronti dell’età moderna da parte di Böcklin, il quale, scappato nel pittoresco e letargico sud, ricrea quell’Arcadia perduta del passato, popolata da giovani innamorati e da naiadi. Negli anni Sessanta dell’Ottocento, le sue opere esprimono questa nostalgia di un tempo mai vissuto, con delicati giardini dove fauni, ninfe e coppie in amore s’incontrano in una profusione di piante e fiori. Sebbene queste raffigurazioni di amanti abbiano una connotazione erotica, Böcklin tende a nascondere questo tratto dietro all’idillio dell’innocenza, al profumo dei fiori, al cinguettio degli uccelli e al calore della luce del sole, piuttosto che a celebrare le gioie dell’Amore. Un esempio dello sviluppo di questo tema è La primavera d’amore (1868) in cui una ninfa raccoglie un fiore (che sembra intenzionata ad annusare) in un giardino muschioso e rigoglioso, in compagnia di un fanciullo e di alcuni putti. In quest’opera, come in tante altre dello stesso filone, i temi classici incontrano la sensibilità raffinata e romantica di Böcklin.

Nel 1875, dopo una ventina d’anni, l’artista svizzero propone nuovamente la figura di Pan con Idillio in cui il dio-satiro è rappresentato ancora una volta mentre suona il flauto in un canneto, ma in questo caso si trova in piedi tra le colonne di un tempio classico in rovina (suggerendo la perdita di un passato classico) ed è consapevole dello sguardo dello spettatore. Inoltre, questo Pan canuto sembra essere invecchiato insieme a Böcklin, come se la figura mitologica fosse un’estensione del pittore o come se testimoniasse lo scorrere inesorabile del tempo; quest’ultimo è inoltre il tema principale, con un’accezione ancora più cupa e mortifera, di una delle opere più celebri del pittore svizzero, L’isola dei morti

L’isola dei morti

Particolarmente apprezzato all’inizio del Novecento da personalità quali Gabriele d’Annunzio, Giorgio De Chirico, Salvador Dalí e Sigmund Freud, questo dipinto, come già accennato, è stato rielaborato per ben cinque volte dal suo autore, attratto egli stesso dal suo contenuto e spinto dai compensi che avrebbe ricevuto grazie a diverse commissioni. La prima versione dell’Isola dei morti del 1880 (inizialmente intitolata Un luogo tranquillo) è caratterizzata dall’impiego di colori cupi, con un’oscurità circoscritta allo specchio d’acqua e al cielo, mentre un punto di luce tendente al giallo pone in rilievo l’isola rocciosa verso la quale si sta dirigendo una piccola imbarcazione. Entrambe di spalle, si scorgono subito due figure affascinanti e apparentemente misteriose: un Caronte di dantesca memoria rema a poppa e a prua si staglia un individuo vestito di bianco (molto probabilmente un’anima) con un feretro drappeggiato di un candido tessuto ai propri piedi. 

La seconda interpretazione del 1880 dell’opera di Böcklin presenta già a un primo e rapido sguardo un’evidente alterazione dei colori, con una tonalità di blu che rende il cielo e l’acqua ancora più sinistri e tetri. Sul feretro trasportato in barca, inoltre, il pittore ha aggiunto delle corone d’alloro, accentuando il carattere funereo e minaccioso del dipinto. 

Nel 1883, il pittore si dedica alla creazione della terza variante del quadro che diventa anche la più famosa della serie. Il netto mutamento dei colori verso tonalità più chiare e luminose contraddistingue il dipinto, rendendolo paradossalmente ancora più enigmatico e lugubre rispetto alle versioni precedenti (e a quelle successive). Questo cambiamento sulla scala cromatica indica che la scena si svolge di mattina presto e permette allo spettatore di scorgere dettagli che prima erano nascosti. L’isola rocciosa, stavolta, si staglia in tutta la sua potenza, sovrastando le due figure in barca che appaiono quasi insignificanti e trascurabili al confronto. Purtroppo, L’isola dei morti risalente al 1884 è andata distrutta in un bombardamento durante la Seconda guerra mondiale e ne rimane solamente una fotografia in bianco e nero che non può fornire dettagli esaurienti circa le gradazioni di colore del dipinto. 

Infine, la quinta ed ultima versione (1886) appare come una mescolanza di elementi di tutti i quadri precedenti: il cielo è nuvoloso e minaccioso, l’isola rocciosa tende a un tono marrone e le due figure sono in procinto di raggiungere l’approdo. Stavolta, però, la barca è molto più vicina alla costa rispetto alle altre varianti del dipinto e soprattutto l’individuo a prua ha il capo chinato, come se fosse in penitenza o semplicemente rassegnato di fronte al proprio ineluttabile destino.

Come esiste L’isola dei morti, vi è anche L’isola dei vivi, dipinta da Böcklin nel 1888. L’intento della tela non è più quello di rimarcare la caducità della vita, ma di enfatizzarne le sue gioie: su quest’isola verdeggiante un gruppo di donne vestite di fiori si abbandonano a un ballo sulle note della musica di due figure vicino a loro, mentre in acqua delle creature marine nuotano insieme a dei cigni. L’arte è capace di mostrare all’uomo ciò che non riesce a vedere da sé ed è forse per questo motivo se L’isola dei vivi non ha riscosso lo stesso successo del suo opposto: la morte affascina più della vita stessa.

Anello mancante tra i romantici del XIX e i simbolisti del XX secolo, Arnold Böcklin ha dimostrato in oltre cinquant’anni di attività di saper comunicare con tela e pennello la realtà della natura del sud, l’immaginario della mitologia classica e la dimensione arcana della vita e della morte, affascinando tutt’oggi con le sue opere ricche di significati nascosti.

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