Il paradosso del rosso

Il rosso – il colore del fuoco, del sangue e del sacrificio, della passione, del privilegio e della rivoluzione – rimane oggi uno degli agenti emotivi più potenti che con la sua complessa semiologia rappresenta un testamento del simbolismo universale del colore.

Il rosso è il colore archetipico, il primo che l’essere umano abbia lavorato, impiegato e declinato in varie gradazioni. Il rosso, per millenni, dal Paleolitico superiore fino al I millennio a.C., era l’unico vero colore (rossi sono i primi segni lasciati dall’uomo nelle caverne, così come i vasi, le statuette e le vesti rituali).

Perché? Si può rintracciare una risposta nei due elementi naturali che questo colore richiama in modo immediato, in tutte le società e in tutte le epoche: il fuoco e il sangue. Entità viva, pericolosa e soprannaturale, il fuoco ha rappresentato per interi secoli il medium che consentiva agli uomini di comunicare con gli dei ed è stato esso stesso oggetto di antichi culti, come in Persia e in India, con i suoi templi e i suoi sacerdoti, vestiti naturalmente di rosso. In tutte le civiltà esistevano divinità del fuoco, come l’Efesto dei Greci e il Vulcano dei Romani, fabbro intelligente e clemente, e a volte mago implacabile e funesto. I testi lo descrivono zoppo, massiccio e dai capelli rossi come il fuoco e il ferro incandescente. Allo stesso modo, il sangue è un elemento portatore di vita e di morte, al centro di superstizioni, storie e miti. Anch’esso permetteva agli uomini di mettersi in comunione con gli dei, per mezzo di sacrifici e rituali molto antichi.

Les Antiquités d’Hancarville
Tavola da Les Antiquités d’Hancarville. Scopri la storia dietro la collezione di Lord Hamilton.

Per i Greci e i Romani il rosso è il colore per eccellenza, ma non possiamo dire che fosse il loro colore favorito, perché l’idea di preferenza implica un’astrazione del concetto di colore che l’Antichità non possedeva in quanto il colore non era una cosa in sé, ma veniva sempre associato a un elemento naturale, a un oggetto. Il passaggio ad un’idea più astratta di colore avviene molto lentamente ed è nell’Alto Medioevo che avviene un cambio documentato, soprattutto per gli aspetti cerimoniali e lessicali.

I sovrani di tutta Europa, il Papa e i cardinali indossano il rosso come simbolo di potere e di giustizia, come la nobiltà sfoggia abiti tinti delle gradazioni più costose e accese di rosso. Il rosso viene preferito e ammirato per secoli, fino al Duecento quando il rosso inizia a cedere il passo ai toni del blu, specie in ambito patrizio, ma il gusto per i bei tessuti rossi non scompare; in Germania e in Italia, il favore per il rosso durerà fino all’inizio dell’età moderna. Le dame di Firenze amano le gradazioni del rosso vivo, chiamati «scarlatti» (e non più «vermigli») ottenuti dal chermes, un costoso colorante di origine animale, di cui nel Medioevo non si conosce la provenienza, e che si ritiene vegetale. Da questo il suo nome d’uso comune «grana» (dal latino grana, plurale di granum), perché la materia colorante formata dagli insetti essiccati ricorda i chicchi di cereali. In origine il termine scarlatto definiva tutti i panni di costo elevato, qualunque fosse il loro colore. Ma essendo quei tessuti pregiati quasi sempre rossi, allora scarlatto e rosso diventano sinonimi.

Un simbolo della morale

Ma è già dal XIII secolo che il rosso entra in una fase calante quando, con la classificazione dei sette vizi capitali e delle loro corrispondenze, questo colore viene associato a quattro peccati differenti: la superbia, l’ira, la lussuria e (a volte) la gola. Restano fuori solo l’avarizia (verde) e l’invidia (giallo). 

Duccio, Il tradimento di Giuda, 1308-1311
Duccio, Il tradimento di Giuda, 1308-1311

Nell’arte del Medioevo molti traditori e furfanti sono raffigurati con i capelli rossi. Il rosso di pelo è colui che è diverso dagli altri, è una minoranza e perciò preoccupa, offende, disturba, è escluso. Giuda Iscariota è il personaggio che incarna più di tutti questo attributo infamante. Caino, che uccide il fratello Abele, è una prefigurazione di Giuda e ha i capelli rossi. Oppure Gana di Maganza, che nella Chanson de Roland massacra per vendetta Orlando e i suoi compagni. O ancora Mordred, la canaglia ne I romanzi della Tavola Rotonda. Tuttavia il discredito del pelo rosso non è nato nel Medioevo. Il mondo cristiano lo ha ereditato da tre tradizioni: biblica, greco-romana e germanica. Nella Bibbia, né Caino né Giuda sono rossi di capelli, ma lo sono altri personaggi, tutti negativi. Esaù, gemello di Giacobbe, che nella Genesi vende al fratello il diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie, viene escluso dalla benedizione paterna e allontanato dalla Terra promessa. Poi c’è Saul, primo Re d’Israele, che finisce pazzo e suicida per una gelosia morbosa nei confronti di David. Infine c’è Caifa, il sacerdote che presiede il Sinedrio durante il processo a Gesù, rosso come tutte le creature di Satana nell’Apocalisse. Nelle tradizioni greco-romane la capigliatura rossa è attribuita a Tifone, un essere mostruoso, nemico degli dei. Nell’Egitto faraonico, Seth, dio del caos, del deserto e della distruzione, veniva descritto fulvo e riceveva, secondo Plutarco, il sacrificio di giovani dalla chioma rossa. Nell’Antica Roma il termine rufus, “il Rosso”, è un insulto molto comune. Nel teatro romano la parrucca rossa o le ali rosse sulle maschere indicano i brutti e i buffoni. Nel mondo germanico-scandinavo, infine, sono rossi Thor, il dio più violento, e Loki, demone e genio del fuoco.

Il codice del vestiario

John Singer Sargent, Dottor Pozzi a casa, 1881, Los Angeles Hammer Museum.
Leggi qui la storia di Samuel Pozzi.

Ma è sul finire del XVI secolo che le sorti del rosso cambiano radicalmente. Per la nuova morale del colore imposte dalle leggi suntuarie (che limitano l’ostentazione del lusso nella moda maschile e femminile), dalla Riforma protestante e dalla Controriforma, il rosso è considerato troppo vistoso, costoso, sconveniente, addirittura immorale. Ora anche il papa decide di vestirsi di bianco.

Specie in Germania e in Italia, agli inizi dell’età moderna si susseguono i decreti che hanno lo scopo di combattere la spesa in beni di lusso, frenare le nuove mode considerate immorali e scandalose, e rafforzare le barriere tra classi sociali. A certe classi o categorie sociali vengono proibiti determinati colori oppure ne vengono disposti altri. Il rosso viene infatti imposto a uomini e donne che stanno ai margini, come le prostitute che dal XIV al XVII secolo sono obbligate a indossare un capo appariscente, spesso proprio rosso, per differenziarsi dalle donne rispettabili. Ma sono vestiti di rosso anche macellai, carnefici, bigotti, lebbrosi, disabili mentali, ubriaconi, condannati, e oltre a questi anche chi è escluso per motivi religiosi, cioè chi non è cristiano: gli ebrei e i musulmani.

William Merritt Chase, Study of a Girl in Japanese Dress, 1895
William Merritt Chase, Study of a Girl in Japanese Dress, 1895

Anche e soprattutto in Giappone, la scelta dei colori e dei motivi di abiti e accessori sono soggetti a un codice di «eleganza e adeguatezza in base al rango, all’occasione e alla stagione.» Il Kasane no irome, codice di abbigliamento cerimoniale, indica per le dame di corte il kōbai, la sovrapposizione di una veste bianca naturale a una di color rosso cartamo (beni) o cinque strati di diverse gradazioni di rosa (kōbai no nioi “profumo di susino”). Alcune tonalità erano riservate esclusivamente alla famiglia imperiale: nella lista dei colori proibiti (kinjiki) rientravano proprio alcuni toni del rosso, come lo scarlatto intenso (kokiake), il rosso-bianco quercia (akashirotsurubami) e il vermiglio giallo (ōni) ottenuto dal pigmento noto come “piombo rosso”.

Torniamo in Europa, dove tra il Trecento e il Settecento il rosso si fa progressivamente più raro, ma continua ad essere associato all’idea di amore, di gloria o di bellezza. Fino all’inizio dell’epoca moderna, i frutti rossi, per esempio, sono attributi simbolici dell’amore. Regalare ciliegie è un modo per dichiarare il proprio amore; le ciliegie rappresentano la gioventù e la primavera. Il pomodoro fu introdotto in Europa dagli spagnoli agli inizi del ‘500, non come alimento, ma come pianta ornamentale dai bei frutti dal giallo dorato al rosso carnale e sensuale: vengono così chiamati «pomi d’oro» o «pomi d’amore». 

Nell’età moderna, il rosso continua ad essere raro nella vita di tutti i giorni, ma il suo significato si rafforza sul piano simbolico. È così che la potenza del rosso diventa altamente simbolica nei racconti orali, nelle favole, nelle leggende e nelle fiabe, come nel caso della fiaba europea più famosa, “Cappuccetto Rosso”. 

Alphone Alais, Cardinali apoplettici che raccolgono pomodori sulla riva del Mar Rosso (Studio dell’aurora boreale), 1884
Alphonse Alais, Cardinali apoplettici che raccolgono pomodori sulla riva del Mar Rosso (Studio dell’aurora boreale), 1884

La rivoluzione in un colore

Ma è alla fine del Settecento che la simbologia del rosso acquisisce un nuovo significato politico che predominerà sugli altri. Nato dalla Rivoluzione francese, il rosso politico assume nel tempo una dimensione internazionale. «Rosso» diventa sinonimo di «rivoluzionario», «socialista», «comunista». All’origine di questo ci sono due oggetti: il berretto portato dal popolo, simbolo di classe nella Francia insorta e simbolo di libertà nella Rivoluzione americana (ma già lo era nei manuali di iconologia e nelle raccolte di emblemi e divise del ‘500), e la bandiera rossa, tinta del sangue dei martiri del Campo Marzio nel giugno 1791. 

René Magritte, La centrale des ouvriers textiles de Belgique (pour faire diminuer la durée du travail), 1938, © Ch. Herscovici, avec son aimable autorisation c/o SABAM Belgium
René Magritte, La centrale des ouvriers textiles de Belgique (pour faire diminuer la durée du travail), 1938, © Ch. Herscovici, avec son aimable autorisation c/o SABAM Belgium

Ci sono però anche leggi che vietano l’uso del rosso ai ceti più bassi: le tinture col chermes più costoso, granum preciosissimum, sono riservate alle classi più elevate, mentre i contadini devono accontentarsi di tingere i pantaloni o le giacche con la garanza, un pigmento che dà un colore resistente, ma spento. 

Il legame fra il rosso e la politica ha segnato a fondo la storia dei colori in età contemporanea, facendo passare in secondo piano tutti gli altri significati: l’infanzia, la bellezza, il piacere, l’amore, la passione, il potere e la giustizia.  

La società contemporanea occidentale ha ereditato ed esteso la funzione simbolica del rosso derivato dalla morale cristiana del Medioevo e lo ha utilizzato come identificativo di divieto, pericolo, avvertenza, condanna. 

Norman Rockwell, Charwomen in Theater, 1946 ©Norman Rockwell
Norman Rockwell, Charwomen in Theater, 1946 ©Norman Rockwell

Continua però ad essere utilizzato per catturare l’attenzione, per affascinare e per sedurre, perché il rosso rappresenta ancora il colore del piacere. Ma è anche il colore della gioia e della festa, se pensiamo al Natale o alla solennità delle cerimonie ufficiali e degli eventi importanti, come nel caso del red carpet o del sipario del teatro. È interessante notare a tal proposito che nel XVIII secolo il sipario era spesso blu, ma con l’introduzione delle più moderne illuminazioni le attrici e le cantanti si lamentavano di apparire pallide e smorte, perciò il sipario, la scena e tutta la sala si trasformano per diventare rossi. 

Il rosso è sempre stato un colore vivo, eccitante, perfino aggressivo. Si dice che il vino rosso rinvigorisca più del bianco, che la carne rossa fortifichi più di quella bianca, che le auto rosse siano più veloci delle altre. Si vive oggi una sorta di paradosso del rosso, sostiene Michel Pastoureau, storico e scrittore francese, autore del libro “Rosso. Storia di un colore”: non è più il nostro colore preferito (sostituito dal blu o dal verde), ma rimane ineguagliabile per ricchezza e profondità di valori. Triste sorte per un colore dalla storia così antica. Oggi che abbiamo chiuso le porte al nostro passato e ai nostri miti, il suo carico di significato ci sembra insostenibile.

Per approfondire

Michel Pastoureau

Rosso. Storia di un colore

Ponte alle Grazie, 2022, pp.240
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