Negli ultimi anni del XVII secolo, un artista olandese conosciuto come A. Boogert, presto caduto nell’oblio, tentò l’impresa di raccogliere tutti i colori conosciuti. Più precisamente, tutte le gradazioni ottenibili con i colori ad acqua. Con più di ottocento pagine scritte a mano, Traité des couleurs servant à la peinture à l’eau è un’opera tanto incredibile quanto moderna. Non è certo che Boogert sia stato il primo a tentare l’impresa della catalogazione cromatica, ma di sicuro non fu l’ultimo. Artisti, scienziati, designer e linguisti hanno cercato di tracciare rotte attraverso lo spazio colore e assegnare nomi, codici e riferimenti alle più infinitesimali differenti gradazioni; alcuni esempi sfogliabili online: il libro di Mary Gartside (1755–1819) An Essay on a New Theory of Colours and on Composition in General, la Nomenclatura dei colori di Werner del pittore Patrick Syme (1774–1845) e le tavole dei colori dell’artista Emily Noyes Vanderpoel (1842–1939) contenute in Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color, tutti sfogliabili di seguito.
Nel 1968 un gruppo di grafici giapponesi presentò il manuale DIC Color Guide’s Traditional Colors of Nippon, ovvero un sistema per codificare universalmente i colori tradizionali giapponesi di origine naturale, per poterli riprodurre digitalmente o chimicamente. Questo rigoroso lavoro di ricerca è alla base di Iro: L’essenza del colore nel design giapponese, il meraviglioso libro di Rossella Menegazzo edito L’ippocampo, che racconta il Giappone attraverso lo specchio dei suoi colori.
La cura editoriale e la rilegatura tradizionale giapponese lo rendono un oggetto splendido di per sé, ma Iro è anche una fonte trasversale di informazioni storiche e culturali che, attraverso un percorso visuale, mescola le due anime del Paese del Sol Levante: da una parte l’abbondanza della tradizione con la sua ricchezza di tonalità ispirate alla natura, e dall’altra l’assenza che definisce il design contemporaneo e la neutralità povera dell’estetica wabi-sabi.
Nell’antico Giappone non vi era tendaggio, cortina, paravento, nastro, ventaglio o foglio di carta che fosse scelto e utilizzato senza tener conto delle raffinate e complesse regole estetiche ispirate dalla natura, che ne definivano forme, materiali e colori.
Vi è un che di effimero nel parlare dei colori tradizionali giapponesi (nihon no dentōshoku), perché vuol dire parlare delle infinite sfumature delle tinture tessili naturali, irripetibili perché frutto di processi artigianali non automatizzati o non più impiegati. Per questo, «voler replicare o definire un colore naturale è come dare la caccia ai fantasmi: essi esistono finché noi ci crediamo, ma appena tentiamo di catturarli e di renderli tangibili, svaniscono».
È una metafora evocativa che richiama alla mente l’opera di uno scrittore che trascorse proprio gli ultimi anni della sua vita in Giappone a dare la caccia ai fantasmi per farli vivere nei sui racconti: Lafcadio Hearn (1850–1904). All’inizio di Iro, Menegazzo si interroga su che colore sia il Giappone. Rosso come il tondo della sua bandiera, il trucco delle geisha o i padiglione dei suoi templi; o forse è blu come la Grande onda di Hokusai; o forse è nero come i kanji tracciati dai pennelli sulla carta. Dopo aver sfogliato Iro sembra impossibile scegliere, ma Lafcadio Hearn forse aveva una sua risposta: Il rosso sarà la prima antologia che pubblicheremo dedicata a riscoprire la figura e gli scritti di Lafcadio Hearn e sarà disponibile su questo sito dalla prossima settimana.
Per approfondire
Rossella Menegazzo
Iro – L’essenza del colore nel design giapponese
L’ippocampo, 2022, pp. 288
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