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La collezione di Lord Hamilton

Una delle più belle e famose collezioni d’arte antica e un tesoro andato perduto.

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Lord-Hamilton-Collection

William Hamilton (1730–1803) è un personaggio affascinante. Ambasciatore inglese presso la corte di Napoli, Hamilton era un uomo poliedrico del suo tempo: archeologo, vulcanologo, antiquario e persino contrabbandiere. Il suo lavoro alla corte di re Ferdinando I delle Due Sicilie (1751–1825) gli permise di dedicarsi liberamente alle sue passioni intellettuali: lo avremmo visto girare il sud Italia per collezionare antichità greche e romane, suonare il violino con un giovanissimo Mozart o scalare le pendici del Vesuvio per raccogliere materiale e studiarne le eruzioni.

Susan Sontag nel 1992 pubblica L’amante del vulcano, romanzo storico sulla vita e sullo scandaloso matrimonio tra Lord Hamilton e la sua seconda moglie, Emma Lyon (1765–1815), la più bella e libera donna dell’epoca.

David Allan, Ritratto di Sir William e Lady Hamilton, 1770

Si sposò con Emma Lyon il 6 settembre 1791 a Londra, lui 60 anni e lei 26. Lady Hamilton divenne famosa per essere prima (si dice) l’amante di Maria Carolina d’Austria (1752–1814), regina di Napoli e Sicilia, e poi dell’ammiraglio Horatio Nelson (1758–1805), relazione alla quale il marito non si oppose mai, anzi. Questo ménage à trois tra Nelson, Emma Lyon e Lord Hamilton viene raccontato anche da Alexandre Dumas (1802–1870) in una delle sue ultime opere, Confessioni di una favorita, mentre i due coniugi Hamilton compaiono anche ne La Sanfelice, il più grande romanzo mai scritto su Napoli.

Ad accomunare Dumas e Lord Hamilton è il forte legame con Napoli e l’amore per gli scavi di Pompei di cui lo scrittore francese fu anche direttore, dopo essere giunto nella capitale del Regno delle Due Sicilie al fianco di Giuseppe Garibaldi.

C’è però un altro scrittore che conobbe Lord Hamilton di persona, una figura altrettanto affascinata dall’Italia e ancora più poliedrica: Johann Wolfgang von Goethe (1749–1832).

La collezione descritta da Goethe

Lady Hamilton fece fin da subito una splendida impressione a Goethe che così ne parla nel suo celebre diario di viaggio in Italia:

Lady Emma Lyon e le sue attitudes
Lady Hamilton creò quelle che lei chiamava attitudes, ovvero delle esibizioni di prosa, danza e recitazione. Impiegando diversi costumi e acconciature, posava davanti agli ospiti evocando personaggi femminili dell’antichità, come ad esempio Medea o Cleopatra. Tali esibizioni riscossero un enorme successo in Europa, affascinando aristocratici, artisti, scrittori, ma anche re e regine, e lanciando nuove tendenze nella danza e nella moda con l’abbigliamento drappeggiato in stile greco.

«Caserta, 16 marzo 1787. Se a Roma si studia volentieri, qui si desidera soltanto vivere. Ci si scorda di noi e del mondo, e l’aver rapporti solo con chi è dedito al godimento mi dà una curiosa sensazione. Il cavalier Hamilton, che risiede qui come ambasciatore inglese, dopo essere stato a lungo un appassionato d’arte, ha trovato ora le massime gioie della natura e dell’arte sommate in una bella fanciulla: una giovane inglese sui vent’anni, molto avvenente e ben fatta, che tiene presso di sé. L’ha abbigliata alla greca, con un costume che la veste mirabilmente; ella poi si scioglie la chioma e, servendosi d’un paio di scialli, continua a mutar pose, gesti, espressioni eccetera, tanto che alla fine par davvero di sognare. Ciò che avrebbero aspirato a creare tante migliaia d’artisti lo vediamo come realtà in moto, come sorprendente successione di pose. In piedi, in ginocchio, seduta, sdraiata, seria, triste, maliziosa, sfrenata, contrita, provocante, minacciosa, timorosa e via dicendo: un’espressione segue a un’altra, e un’altra la sostituisce. Per ciascuna di esse ella sa scegliere e cambiare il drappeggio del velo, e con le stesse stoffe si acconcia in cento modi[…].»

A Lord Hamilton piaceva far ricreare a sua moglie non solo le statue antiche ma anche le pitture pompeiane, facendola posare in vesti colorate in una cassa di legno dipinta al suo interno di nero. Sempre Goethe:

«Attirò la mia attenzione una cassa posta verticalmente, aperta sul davanti, dipinta di nero all’interno e listata da una sontuosa cornice d’oro. Non contento di vedere la bella immagine come statua vivente, il fine intenditore d’arte e di giovinette aveva voluto goderla anche come inimitabile e stuzzicante pittura; perciò, ponendola in vesti variopinte sullo sfondo nero entro la cornice dorata, le aveva fatto imitare le antiche pitture pompeiane, nonché quelle di maestri moderni. Un tale svago sembrava appartenere a un’epoca superata; per di più lo scenario era difficile da trasportare e da illuminare a dovere, sicché non potemmo gustare lo spettacolo.»

Pietro Fabris, Concerto in casa di Kenneth Mackenzie, Lord Fortrose, 1770 (Edimburgo, Scottish National Gallery). Seduto al clavicembalo, di spalle, Mozart quattordicenne. A sinistra, Lord Hamilton al violino.
Lord Hamilton ispeziona le sue antichità, tutte con un riferimento a sua moglie e al suo amante, Lord Horatio Nelson. Sono appesi al muro quattro quadri: “Cleopatra”, un’immagine di Lady Hamilton con i seni scoperti, con in mano una bottiglia di gin; “Mark Anthony”, Lord Nelson e una battaglia navale sullo sfondo; un vulcano in eruzione; e un ritratto di Hamilton, con lo sguardo rivolto dall’altra parte.

Goethe è poi ospite di Hamilton a Napoli nel maggio del 1787 e visita la sua collezione di reperti archeologici insieme a Jakob Philipp Hackert (1737–1807), pittore tedesco molto appassionato dei paesaggi italiani. Nei sotterranei della villa si apre davanti a loro una Wunderkammer che avrebbe fatto meravigliare qualsiasi antiquario e Goethe la descrive così:

«Napoli, sabato 27 maggio 1787.

Hamilton e la sua bella continuarono a onorarmi della loro cordialità. M’invitarono a pranzo, e la sera Miss Harte si produsse nei suoi talenti musicali e canori. Seguendo il suggerimento dell’amico Hackert – la cui gentilezza nei miei riguardi non fa che crescere, e che vorrebbe farmi vedere tutto quanto v’è di notevole – Hamilton ci condusse nella sua collezione sotterranea di oggetti d’arte e di cianfrusaglie. Vi regna un’enorme confusione: busti, torsi, vasi, bronzi, ogni sorta di addobbi decorati con agate siciliane (perfino una piccola cappella), intagli, dipinti e quant’altro gli è capitato d’accaparrarsi.»

Un passato splendore

Davanti a Goethe e ai tanti altri giovani intellettuali europei che intrapresero il Grand Tour – quello che a tutti gli effetti divenne una sorta di rito d’iniziazione – si aprivano scenari idilliaci, vedute di un paesaggio omerico ancora incontaminato. Le rovine grandiose del mondo antico e le sue tracce dissotterrate dai continui scavi archeologici, evocavano l’idea di un passato splendore e crearono il moderno ƒmito della Grand Gréce.

Quel mito si nutriva anche degli oggetti e dei preziosi manufatti artistici che dal Settecento cominciarono ad essere ricercati e scavati, e con i quali si crearono alcune fra le più famose collezioni museali d’Europa.

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein (1751–1829), pittore tedesco e Direttore dell’Accademia di Napoli, scrisse a Goethe:

«Napoli, 10 luglio 1787.

Il nostro viaggio da Roma a Capua fu molto propizio e piacevole. Ad Albano ci raggiunse Hackert; pranzammo a Velletri dal cardinale Borgia e visitammo il suo museo […]. Alle tre pomeridiane ripartimmo attraversando le paludi Pontine, che stavolta mi piacquero assai più che in inverno. I postiglioni di Terracina si mostrarono molto cortesi; ci diedero ottimi cavalli e conducenti, poiché la strada, che passa tra i grandi dirupi e il mare, è pericolosa. Vi sono già accadute molte sciagure, specialmente di notte, quando i cavalli facilmente s’adombrano. Mentre l’ultimo posto romano di guardia controllava i passaporti, io andai a passeggiare fra le alte scogliere e il mare, e contemplai il grandioso effetto della buia roccia illuminata dalla luna, un fascio di vivi sfolgorii si proiettava nell’acqua turchina, scintillando fino alla sponda battuta dal tremolio delle onde. In alto, sul ciglio del monte, le rovine della fortezza di Genserico, avvolte in un’indefinita azzurrità, portarono i miei pensieri verso tempi remoti; risentii l’ansia di salvezza provata dallo sventurato Corradino, come pure da Cicerone e da Mario: essi tutti in quei luoghi avevano conosciuto il terrore. 1Le rovine sovrastanti Terracina, sul monte S. Angelo, sono in realtà quelle del tempio di Giove Anxur (I sec. a.C.). Prima d’essere giustiziato a Napoli, Corradino di Svevia fu imprigionato nella torre Astura presso Nettuno, Cicerone fu ucciso nella sua villa di Formia dai sicari di Marco Antonio e Mario fu catturato nelle Paludi Pontine dai soldati di Silla. Di lì in poi fu bello il viaggio costeggiando la montagna fra i grossi macigni franati, sul lido del mare sotto la luna. […] Superammo quindi la montagna, fitta d’ulivi e di carrubi, ed era ormai giorno fatto quando giungemmo alle rovine dell’antica città, ricca di ruderi sepolcrali. Il più importante sembra fosse quello eretto per Cicerone, nel luogo stesso in cui lo uccisero.»

Agli occhi dei viaggiatori europei la Campania era il luogo dove l’antichità poteva ancora essere contemplata e vissuta non solo grazie ai magnifici siti e reperti archeologici, ma anche per il clima mite del Golfo di Napoli, la vegetazione mediterranea rigogliosa e l’allegria dei cittadini napoletani con le loro feste e processioni. Per Goethe, «Napoli è un paradiso dove ciascuno vive in una sorta d’ebbrezza obliosa.» In quelle campagne e in quelle coste scaldate dal sole anche la prestanza e nudità dei giovani riaccende l’immagine delle figure atletiche raffigurate sulle antiche terrecotte o modellate dagli scultori greci e romani. Sempre Goethe, il 24 febbraio 1787:

«Proseguimmo fino al Garigliano, dove il cavalier Venuti fa eseguire degli scavi. Vedemmo mucchi di antichità dissepolte, ridotte però in miseri frantumi. Tra le altre cose notammo una gamba di statua che la cedeva di poco in eccellenza all’Apollo del Belvedere. Se si potesse trovare il resto, sarebbe una fortuna.

Lì godetti pure d’una graziosissima scena: […] sopraggiunse a cavallo un ragazzone nudo, che avanzò così profondamente nell’acqua da far nuotare anche il cavallo. Era bellissimo vedere quel giovinotto ben piantato accostarsi a riva tanto da mostrare l’intera figura, e rituffarsi subito nell’acqua fonda, talché non si vedeva più che la testa del cavallo, e di lui solo le spalle. […]

Alle tre del pomeriggio riprendemmo il cammino; finalmente, qualche ora dopo mezzanotte, arrivammo (a Napoli). […]

Abito in casa del signor Hackert; ier l’altro andai col cavalier Hamilton nella sua villa di Posillipo. Davvero non si può ammirare al mondo niente di più magnifico. Dopo pranzo una dozzina di ragazzi si tuffarono in mare; era una gioia vedere come giocavano tra loro, raggruppandosi e atteggiandosi in mille modi! Hamilton li paga per sollazzarsi così tutti i pomeriggi. Lo trovo eccezionalmente simpatico; conversai a lungo con lui, sia in casa sua, sia passeggiando poi alla marina.»

Le pubblicazioni

Lord Hamilton affidò al Barone d’Hancarville (1719–1805) la pubblicazione a stampa della sua preziosa collezione. Nacquero così i quattro volumi del catalogo Antiquités Etrusques, Grecques, et Romaines Tirées du Cabinet de M. Hamilton, stampati a Napoli nel 1766–67 con 436 tavole, di cui 179 illustrate ad acquerello di Pietro Bracci (1700–1773). L’opera diffuse prima in Inghilterra e poi in Europa l’arte della ceramica e della pittura vascolare antica, nutrendo l’ispirazione degli artisti del nuovo stile emergente: il Neoclassicismo.

Oggi le illustrazioni sono state riedite da Taschen nel volume Les Antiquités d’Hancarville di cui qui sotto il primo volume sfogliabile (il secondo qui).

Un tesoro perduto

Appena riuscì a vendere la sua collezione al British Museum, Lord Hamilton iniziò una nuova collezione di vasi antichi, e anche questa volta diede alle stampe un’edizione illustrata. Questa seconda opera venne curata da Tischbein e pubblicata in quattro volumi con l’infinito titolo Collection of Engravings from Ancient Vases Mostly of Pure Greek Workmanship Discovered in Sepulchres in the Kingdom of the Two Sicilies but Chiefly in the Neighbourhood of Naples During the Course of the Years MDCCLXXXIX and MDCCLXXXX now in the possession of Sir Wm. Hamilton… with remarks on each vase by the collector.

Le tavole illustrate di questi volumi (ne potete vedere alcune di seguito) sono preziose non solo per la loro straordinaria bellezza, ma anche perché la nave che trasportava i vasi raffigurati, l’HMS Colossus, affondò nel 1798 al largo della Cornovaglia e il carico andò perduto; le incisioni sono dunque l’unica testimonianza rimasta di questo tesoro.

Collection of Engravings from Ancient Vases Mostly of Pure Greek Workmanship Discovered in Sepulchres in the Kingdom of the Two Sicilies but Chiefly in the Neighbourhood of Naples During the Course of the Years MDCCLXXXIX and MDCCLXXXX


Per approfondire

D’Hancarville. The Complete Collection of Antiquities from the Cabinet of Sir William Hamilton

edizione: francese, inglese, tedesco
Taschen, pp. 515
acquistabile qui

Susan Sontag

L’amante del vulcano Hamilton

traduzione di Paolo Dilonardo
Nottetempo, 2020, pp. 504
acquistabile qui

Johann Wolfgang Goethe

Viaggio in Italia (1786–1788)

traduzione di Eugenio Zaniboni
Rizzoli, 1991, pp. 736
acquistabile qui

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