Arethusa

Il libro scomparso delle poesie di Elsa Schiaparelli.

Nel suo libro Poetesse d’Italia (1916), la scrittrice Camilla Bisi (1893–1947) descrive la poetica di Elsa Schiaparelli (1890–1973), nota ai più come stilista e una tra le più influenti figure della moda nel periodo fra le due guerre mondiali, ma anche, appunto, poetessa.


Anima orientale, ho chiamato invece Elsa Schiaparelli; ma forse, no. Orientale per l’esuberanza, come di magnifica flora, del verso; per le ardenti immagini; per la plastica bellezza che noi sentiamo in lei e ch’ella, forse, adora sopra ogni cosa; per la passionalità che si rivela e si nasconde, in un gioco di cerule luci; ma nordica, anche, per la nebulosità, il simbolismo anzi di cui si compiace velare ogni sua lirica, per una profondità più riposta di concetto e di intento che a tutta prima sfugge. Poesia che si rivela dapprima semplicemente come canto e che invece a poco a poco si fa più profonda, si addentra fin là ove non è più solo ispirazione, ma anche pensiero e ragionamento. Anima precoce, anche questa, ma certo più giovanile, più vivace, più assetata e gaudente; anima benedetta dal calore del cuore che batte, delle vene che pulsano; anima in fiore inebriata del suo stesso profumo e della sua stessa bellezza. La nebulosità ci impedisce di seguirne le vicende di vita, di vederla vivere, veramente. Noi la sentiamo, non la vediamo, ma ci basta, e non le chiediamo di più. Talvolta, è vero, l’enfasi le nuoce: è in lei l’immensità quasi nietzscheana di certe visioni, senza averne il volo d’aquila per spaziarvi liberamente; è in lei l’esasperata ricerca di intime profondità là ove è solo bellezza di forme e di colore; è in lei il pudore di dire troppo di sé che la fa avvolgere in un velo supremamente estetico, ma non sempre efficace. Ella ci fa l’impressione che qualcuno le abbia suggerito: «Non dire troppo di te: non è di buon gusto. Non bisogna cantare per cantare. Bisogna cantare qualche cosa». Ed ella cerca affannosamente questo qualche cosa; tenta di chiuderlo entro confini di miglior gusto, ma il bel fiume straripa. Assolutamente passionale, io penso che i più bei canti d’amore ella li abbia rinchiusi, per tema di profanazione. Questi pochi ch’ella ci rivela sono avvolti anch’essi in un simbolico ammanto che però non nuoce loro; impersonali, essi si prestano perciò ad ogni anima che legga, si confanno a tutte le vicende ed a tutti i cuori. Ma non sempre le riesce questa adombratura di sé, che forse, io penso, racchiude un segreto compiacimento di mistero. Noi la sentiamo abborrire profondamente da tutto ciò che è calma indifferenza, ristagno di energie e di sentimenti, mutismo di bocche e di cuori. Il disprezzo pei «pallidi indifferenti»; l’orrore per i muti, è in lei vero grido d’anima, aspra di giovinezza, avida di vivere in gioia e in dolore, in canto ed in pianto, in amore e in sofferenza.


Come mai non solo la poesia, ma anche l’anima stessa di una donna italiana come Elsa Schiaparelli viene definita “orientale”? Lo spiega la futura stilista stessa nei suoi diari, raccontando alcuni episodi legati alla sua adolescenza.

All’età di tredici anni, insieme al padre, soggiorna in Tunisia, dove trascorre la maggior parte del tempo negli harem e conosce un uomo, «uno degli uomini arabi più potenti del paese». Le sembra una favola: lui vede in lei una giovane donna e brucia di passione. Giunge alla sua finestra in fluenti vesti bianche e su un cavallo nero, accompagnato da un seguito di guardie vestite in modo identico. Lei non dovrebbe guardare, ma osserva cautamente da dietro una tenda. Lui si inchina e solleva la sua sciabola, tutti gridano e svelano le armi, mostrando le loro abilità equestri. È la “fantasia” araba: straordinaria, romantica, appassionata… La giovane Elsa vuole subito sposare questo bell’uomo e scappare insieme a lui, ma naturalmente il padre si rifiuta di concedere la mano della figlia. Ricordando la vicenda anni dopo, lei è ancora sicura che avrebbe potuto vivere una vita felice in quell’ambiente simile a un miraggio, in quell’illusione possibile solo a chi non l’ha mai provata. 

Rientrata a Roma, la sua mente è piena di pensieri romantici e poetici. La scoperta di culture così lontane dalla sua si lega inestricabilmente alla regolare processione a cui assiste nelle notti primaverili e autunnali, quando i pastori e le loro greggi provenienti dalla Campagna Romana passano sotto le finestre di casa Schiaparelli in via Nazionale, una delle strade principali della città. Il belato delle pecore e l’abbaiare dei cani rimbalzano tra le alte case di pietra con le loro pesanti imposte. I pastori, avvolti in tabarri neri e con cappelli neri a tesa larga, camminano con passi trascinati. La stranezza di quel pellegrinaggio notturno, gli echi, i rumori, l’abbaiare dei cani e il passo ipnotico di uomini e animali assumono un fascino misterioso, quasi mesmerico. La giovane Elsa torna strisciando a letto, e «poi mi abbandonavo alla gioia di cantare nella mia mente la poesia che avrei scritto il giorno dopo». Giorno dopo giorno scrive poesie piene di «dolore, amore, sensualità ardente e misticismo, eredità di mille anni…» che riflettono i suoi pensieri più profondi.

Una volta raccolte abbastanza poesie per un libro, le mostra al cugino Attilio, figlio dello zio Giovanni, l’astronomo che verso la fine dell’Ottocento aveva scoperto i cosiddetti canali di Marte. Attilio Schiaparelli sottopone le poesie della cugina all’editore Riccardo Quintieri che le stampa nel 1911 in una raccolta intitolata Arethusa, dal nome di una seguace di Artemide, la dea greca della caccia, della verginità e delle fanciulle. Secondo il mito, per sfuggire alle attenzioni insistenti e indesiderate di Nereo, una delle divinità fluviali, Arethusa si trasforma in un ruscello. Non è chiaro se Elsa Schiaparelli comprenda tutte le connotazioni e le implicazioni del nome che ha scelto, ma con la sua dedica sembra lanciare una sorta di guanto di sfida: «A chi amo / A chi mi ama / A chi mi fece soffrire».

Al momento, Arethusa sembra introvabile e per farci un’idea del suo contenuto dobbiamo dunque basarci solo sul pensiero di Camilla Bisi e su alcuni ricordi di Elsa Schiaparelli attraverso diari e biografie. Chissà come sarebbe rileggere oggi quelle poesie scritte da una donna che ha rivoluzionato il mondo della moda.

Fonte: M. Secrest, Elsa Schiaparelli. A biography, Alfred A. Knopf, New York, 2014.

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