Le artiste ribelli di George Eliot

Personaggi femminili che con l’arte si sono opposte a un destino per loro già scritto.

Come George Eliot, le sue eroine si oppongono ai limiti e agli obblighi della vita domestica e impiegano il loro talento per scappare dal destino che gli uomini hanno scritto al posto loro. Questi personaggi femminili formano un gruppo di artiste rivoluzionarie e arrabbiate con l’universo maschile che aiutano Eliot a liberarsi di quella sensazione “poco femminile” che le trasmetteva l’arte, ritenuta da lei come uno sfogo degli impulsi femminili nei confronti della rabbia e dell’anormalità.

Margeurite Gérard, Autoritratto mentre dipinge una suonatrice di liuto, 1803

“L’amore di Mr. Gilfil”, il secondo dei tre racconti contenuti nella raccolta Scene della vita clericale (1857), racchiude il primo esempio di queste eroine che si oppongono agli obblighi imposti dal sesso opposto. La protagonista di questa novella è Tina Sarti, una giovane donna italiana rimasta orfana, accolta in una famiglia inglese, che si innamora del Capitano Anthony Wybrow, nipote e futuro erede del suo benefattore. Wybrow, temendo la reazione furiosa dello zio, la tradisce. In preda a una gelosia feroce, la fanciulla si arma di un pugnale e si precipita verso il luogo dove l’infedele la stava aspettando. Tuttavia, quando giunge sul posto, Tina si trova davanti a sé l’uomo steso a terra, morto improvvisamente per un malore. La consapevolezza dell’intenzione di commettere un crimine si trasforma in un profondo rimorso nella fanciulla, come se l’atto criminale fosse stato davvero consumato, e quel rimorso la tormenta incessantemente. Il tormento per Wybrow spinge Tina a rifugiarsi ancor di più nel canto, una passione capace di portarla in un’altra dimensione priva di dolore e di sofferenza. Le esortazioni di Maynard Gilfil, un giovane e integro ministro che l’aveva amata con fervore ma senza speranza, gradualmente placano l’angoscia di Tina, che ritrova la serenità e con essa germoglia nel suo cuore l’affetto per Gilfil, accettando la sua proposta di matrimonio. Ma la loro felicità è di breve durata, poiché le intense emozioni e le angosce hanno corroso la fragile fibra della fanciulla, che si affievolisce e muore. Il tema centrale della narrazione, relativo al pentimento di un crimine desiderato ma non compiuto in tempo, è affascinante e profondo; tale tematica verrà anche ripresa e sviluppata ulteriormente in Daniel Deronda (1876), l’ultimo romanzo di George Eliot.

In questa storia, Eliot dissolve e allontana la rabbia femminile di Tina e il suo desiderio di vendetta attraverso l’uso del dramma. La protagonista emerge come una donna-demonio, lontana dallo stereotipo dell’angelo del focolare descritto nel poema di Coventry Patmore, molto popolare durante l’epoca vittoriana. Oggetto di banalizzazione da parte del suo padrone paternalista e del suo cinico amante, Tina ritrova nel canto un modo per esprimere liberamente le proprie emozioni, sfuggendo a una passività oscura e rifugiandosi nell’arte per trovare conforto. L’eroina vede quindi nell’espressione artistica un’alternativa alla repressione domestica e una sorta di illusoria libertà.

George Goodwin Kilburne, Giovane donna al piano, 1880

In Middlemarch (1874), Madame Laure, la bellissima attrice che aveva affascinato Lydgate durante il suo soggiorno in Francia, rappresenta un’altra delle artiste ribelli immaginate da Eliot. Sebbene le sue doti artistiche siano mediocri, la giovane donna è determinata a rendere la recitazione il suo canale di sfogo. Incurante degli obblighi domestici, uccide il marito che la faceva sentire in trappola con il suo affetto opprimente. Madame Laure afferma ad un sorpreso Lydgate che: «Tu sei un brav’uomo. Ma non mi piacciono i mariti. Non ne avrò altri in futuro.» La sua avversione verso gli uomini e il matrimonio rappresenta un aspetto della sensibilità artistica femminile su cui Eliot tornerà più volte nel corso della sua carriera letteraria.

Come Madame Laure, anche la protagonista del poema “Armgart” (1871) non è disposta verso il matrimonio, vedendolo come un’istituzione progettata per mantenere le donne al loro posto. Quest’opera, scritta durante la composizione di Middlemarch, è un affascinante studio psicologico dell’artista adirata e costituisce il più esteso confronto con i sentimenti di Eliot come donna che si rifiuta di essere «schiacciata in uno stampo». Armgart esprime il suo profondo risentimento nei confronti dell’intolleranza maschile verso le conquiste femminili, utilizzando termini inequivocabili. Ad esempio, quando un pretendente le suggerisce di abbandonare la sua carriera artistica per sposarlo, la giovane donna respinge in modo tagliente il dogma insegnato dagli uomini secondo il quale le donne cercano naturalmente solo una vita domestica fatta di agi e di comodità. Al contrario, Armgart pronuncia una dichiarazione vibrante di indipendenza artistica, riflettendo l’impegno totale di Eliot per la propria arte.

Sono un’artista per nascita
Con la stessa certezza che sono una donna:
No, nel dono più raro vedo
La vocazione Suprema: se giunge un conflitto,
Periscono – no, non le donne, ma le gioie
Che gli uomini restringono con la loro ottusità…
Non ho bisogno di schiacciarmi in uno stampo
Della teoria chiamata Natura…
L’uomo che mi sposa deve sposare la mia Arte,
Onorarla e amarla, non tollerarla.
Oh, posso vivere senza sposarmi, ma non vivere
Senza la beatitudine di cantare al mondo,
E sentire che tutto il mio mondo mi risponde.

Rifiutando il matrimonio, Armgart ne sottolinea la mancanza di reciprocità, accusando la riluttanza degli uomini a fare quei sacrifici che abitualmente si aspettano dalle mogli.

Sostieni di essere
Più che un marito, ma non potresti rallegrarti
Se fossi più di una moglie…

Quando il nobile Graf le chiede di diventare il suo angelo del focolare, concentrando il suo potere «nelle delizie domestiche / che penetrano e purificano il mondo», la risposta di Armgart è caustica:

Che cosa! lasciare l’opera con la mia parte mal cantata
Mentre gorgheggio in un salotto?
Cantare nell’angolo del camino per ispirare
Mio marito mentre legge il giornale?

La fanciulla è sincera nel dichiarare che l’espressione artistica rappresenta un sostituto della frustrazione e della furia distruttiva. La sua enfasi sull’arte come rabbia sublimata è particolarmente illuminante, considerando il disagio personale spesso espresso da Eliot alla minima espressione di rabbia. Riguardo Armgart, la cugina commenta:

Ella si chiede spesso come sarebbe stata la sua vita
Senza quella voce come canale per la sua anima.
Dice che deve aver saltato attraverso tutti i suoi arti
L’ha resa una Menade, le ha fatto strappare un tizzone
E incendiare un po’ di foresta, affinché la sua rabbia potesse montare…
“Povera disgraziata!” dice, di qualsiasi assassina.
“Il mondo era crudele e lei non sapeva cantare:
Porto in gola le mie vendette;
Mentre canto amo e vengo amata di nuovo.”

“Armgart” si occupa a lungo, e in modo piuttosto oscuro, del disagio maschile per l’eccellenza femminile a cui si allude brevemente in Middlemarch («Un uomo raramente si vergogna di sentire che non può amare così bene una donna quando vede una certa grandezza in lei: la natura avendo destinato la grandezza agli uomini.» Capitolo 39). 

Mentre Armgart vede il suo dono come una sorta di regalo da Dio, Graf risponde con le convinzioni del tradizionalista che «il rango di una donna / risiede nella pienezza della sua femminilità», che l’anatomia è il destino e che l’oscurità domestica costituisce la «gloria più pura».

Infine, questo poema poco conosciuto ma provocatorio evoca le possibilità più sinistre inerenti al desiderio maschile di negare la preminenza femminile. Al culmine della sua fama, Armgart sviluppa un’infezione alla gola che viene gestita in modo disastroso da un medico. Di conseguenza, l’eroina di Eliot perde la propria voce – il dono che aveva dato un senso alla sua vita – e con essa, quell’unicità che un tempo la contraddistingueva. Armgart percepisce il tragico errore come un atto sadico di distruzione maschile:

…e tu l’hai uccisa!
Hai ucciso la mia voce – avvelenato la mia anima,
E mi hai tenuto in vita.
Non mi hai mai detto che le tue cure crudeli
Erano pellicole intasanti, una piaga ammuffita e mortale
…Oh, le tue cure
Sono i trionfi del diavolo: puoi derubare, mutilare, uccidere,
E tieni un diavolo dall’altra parte della tua cura
Dove puoi vedere la tua vittima tremare
Tra i denti della tortura – vedi un’anima
Resa acuta dalla perdita – tutte le angosce legate a un bene
Una volta conosciuto e perso!

Quando il medico tenta di minimizzare l’entità della tragedia, Armgart rifiuta la sua compassione e lo rimprovera per il suo rifiuto paternalistico di concederle un ruolo nel decidere il proprio destino:

Non ho scelto di vivere e avere la tua pietà.
Non me l’hai mai detto, non mi hai mai dato la scelta
Di morire come cantante, folgorata, illesa,
O di vivere quello che mi faresti con le tue cure.

Per la sconvolta giovane donna, il medico simboleggia quel dispotismo maschile benevolo ma pur tuttavia sinistro, simile a quello evocato nel classico di Charlotte Perkins Gilman La carta da parati gialla. Armgart interpreta l’offerta di un sedativo non come una gentilezza, ma come un espediente minaccioso per favorire la sua sottomissione:

Mi ha curato la voce, e ora vuole
Curare la mia visione e determinazione –
Farmi addormentare in modo che io possa svegliarmi di nuovo
Senza uno scopo, abietta come il resto…

Il poema si conclude con un confronto tra la devastata Armgart e Walpurga, una cugina che la biasima per aver tratto piacere dalla sua posizione privilegiata. Quel pungente rimprovero sembra carico dell’acuta consapevolezza di George Eliot della propria posizione privilegiata:

Ma cos’è colui che getta via il proprio carico
E lascia i suoi compagni a faticare? Il diritto di un ribelle?
Dite piuttosto, del disertore. Ah, hai sorriso
Dalla tua chiara altezza su tutti i milioni di terreni
Che tuttavia tu marchi come miserabili…
Ma tu… hai reclamato l’universo; niente di meno
Di tutta l’esistenza che lavora su binari sicuri
Verso la tua supremazia.

In Daniel Deronda, l’interesse di George Eliot per l’egoismo artistico e l’incapacità di identificarsi con il dolore dell’altro è di nuovo molto evidente. Leonora Halm-Eberstein, la madre di Daniel che appare brevemente ma lascia un ricordo indelebile nel corso della narrazione, è al centro dell’ambivalenza della scrittrice. Come Armgart, anche Leonora è una donna ostinata, con un certo orrore della soggezione. Come lei, è un’ex cantante lirica che deve affrontare il deterioramento della magnifica voce che le ha portato fama e adulazione. Armgart accetta infine l’identificazione femminile dell’artista detronizzata dall’universo maschile, al contrario della madre di Daniel. Il rifiuto dello stile di vita femminile da parte di Leonora riflette tuttavia la sfida affrontata da Mary Ann Evans prima di diventare George Eliot.

Jenny Lind interpreta Amina nell’opera di Bellini La Sonnambula, 1847 © Victoria and Albert Museum, Londra

La necessità di superare ira, ostilità e risentimento è al centro dell’ultimo poema di George Eliot intitolato “Erinna”, pubblicato per la prima volta nel 1959. Quest’opera prende il nome dalla sua eroina, una poetessa greca morta a soli diciannove anni. Esprimendo l’infelicità e la “divina rabbia” attraverso la propria arte, Erinna riesce a superare questi ostacoli, diversamente della madre infelice di Daniel.

Attraverso la vocazione artistica delle donne nate dalla sua penna, George Eliot impara a “guardarsi nella propria singolarità… / E con il pensiero uccidere il Drago oscuro dell’Odio”. Dai primi anni acerbi fino all’ultimo periodo come scrittrice affermata, la carriera letteraria di Eliot presenta numerosi esempi di artiste ribelli, capaci di rovesciare i fondamenti della società vittoriana, di trovare una nuova voce che fino ad allora era rimasta spezzata e di scrivere la loro storia con le loro parole.

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