Josep Pla
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Lo sguardo di un catalano in Italia

Presentiamo tradotti in italiano alcuni passi dai ricordi di Firenze di Josep Pla, uno dei più importanti scrittori di lingua catalana.

Josep Pla

Figlio di una delle famiglie più abbienti della cittadina catalana di Palafrugell, Josep Pla nasce l’8 marzo 1897 e fin dalla scuola elementare si distingue per la spiccata passione per la lettura (tra i suoi preferiti Stendhal), per un’incredibile memoria e per il carattere anticonformista.

Al collegio, mentre studia per ottenere il diploma di maturità, comincia a scrivere i suoi primi racconti e a collaborare con diverse riviste locali. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Medicina dell’Università di Barcellona, il giovane Pla cambia indirizzo di studi per poi laurearsi in Giurisprudenza nel 1919. Durante gli studi, lo scrittore si avvicina per la prima volta all’Italia, iscrivendosi a un corso per imparare l’italiano, spinto dal desiderio di poter leggere Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis:

Una delle poche cose utili e sensate che ho fatto durante i miei anni universitari alla facoltà di Giurisprudenza è stato frequentare un corso di lingua italiana, tenuto presso la Casa degli Italiani a Barcellona – non ricordo ora esattamente in che anno. Il corso, molto numeroso, era qualcosa di così serio che credo di non aver conosciuto approfonditamente nessuno, se non solo di vista. […] C’erano italiani che aspiravano a migliorare la loro lingua e persone che avevano deciso di studiare l’italiano volontariamente, per il gusto di farlo, o perché ne avevano bisogno, naturalmente.

Da un lato questo corso non porta ai risultati sperati, ma dall’altro accende un fuoco in Pla che lo spinge a prendere seriamente in considerazione l’idea di recarsi in Italia, per lavoro o anche solo per semplice svago:

Pochi giorni dopo l’inizio del corso, chiesi alla biblioteca dell’Ateneo la Storia di De Sanctis. Non riesco a capirci niente. Leggo un paragrafo e alla fine è come se non avessi letto niente. Faccio la stessa prova con un volume della Critica di Croce e arrivo allo stesso risultato. Giorni dopo apro il «Corriere della Sera» e capisco una cosa semplice. Il primo contatto con questo giornale mi fa una grande impressione. È il secondo giornale che leggo finora che ha suscitato in me un grande interesse, una curiosità, intendo. La mia frequenza al corso della Casa degli Italiani mi fa decidere di andare in Italia il prima possibile. Quando può avvenire questo viaggio? Chi potrebbe saperlo? Non ho bisogno di soldi, ma ogni giorno che passa mi fa capire che senza soldi – pochi, ma a sufficienza – non si può fare assolutamente niente.

Josep Pla e Alexandre Plana a Madrid
Josep Pla e Alexandre Plana a Madrid. Fonte: Fondazione Josep Pla.

Questi sono gli anni in cui Pla inizia a frequentare diversi luoghi culturali della città scoprendo una biblioteca ricca di letteratura francese ed entrando in contatto con il circolo intellettuale dell’Ateneo di Barcellona, i cui membri Joaquim Borralleras (attivista culturale), Joan Estelrich (studioso di italianistica), Josep Maria de Sagarra (scrittore) e Alexandre Plana (critico letterario) incoraggiano i suoi primi passi nella letteratura e nel giornalismo fungendo da mentori letterari.

Durante gli ultimi anni dei suoi studi di Giurisprudenza, Pla inizia a pubblicare seriamente varie opere poetiche. Da queste composizioni traspare ancora uno stile immaturo e retorico, ma allo stesso tempo mostrano già una sintesi dei temi delle sue opere: narrazioni appassionate della realtà più vicina, soggettivismo poetico, apparente rifiuto dell’immaginazione, sottile ironia, manipolazione di fatti e personaggi reali. Gli anni in veste di redattore del quotidiano «La Publicidad» aiutano Pla a trovare uno stile più naturale, conciso e sintetico adatto al giornalismo che avrebbe poi adattato e rimaneggiato nelle sue opere letterarie seguenti.

Josep Pla e Lluís Llimona sulla spiaggia di Canadell a Palafrugell. 1919
Josep Pla e Lluís Llimona sulla spiaggia di Canadell a Palafrugell. 1919 © Josep Vergés, Fondazione Josep Pla.

Quando il giornale «La Veu de Catalunya» gli chiede di essere il suo inviato speciale dall’Italia durante la Conferenza Monetaria Internazionale convocata dalla Società delle Nazioni a Genova nel 1922, Pla coglie quest’occasione irripetibile e scrive pezzi anche per altre testate spagnole, arrivando anche a pubblicare settantotto articoli in circa cinquanta giorni.

Al termine della Conferenza, lo scrittore intraprende da metà maggio a fine agosto un viaggio alla scoperta del Bel Paese in compagnia degli amici Lluís Llimona e Josep Francesc Ràfols, desideroso di vivere in prima persona lo spirito di Viaggio in Italia (1816) di Johann Wolfgang von Goethe e di Impressioni di viaggio (1826) di Heinrich Heine.

Firenze è stata una delle prime città che ho avuto modo di conoscere nel corso del mio girovagare. Ho vissuto lì per parecchio tempo e in ottima compagnia. Alcuni miei amici soggiornavano alla Pensione Balestri di Piazza Mentana sul Lungarno. Il mio più buon amico tra questi era Lluís Llimona, più giovane di me, ma vivace, sensibile e intelligente quanto oggi.

Llimona mi ha presentato un personaggio bizzarro: un pittore messicano basso, olivastro, dai modi bruschi, con capelli spessi e crespi che aveva combattuto nella guerra civile con il rinomato Pancho Villa; dopo la vittoria della rivoluzione, aveva ottenuto il permesso di viaggiare in Europa per studiare ciò che chiamano Arte nell’America Latina. Il messicano si era intrattenuto in caffè letterari e bohémien del continente ed era ora finito a Firenze per virtù di pressioni amorose esercitate da un’imponente donna del Nord uscita dalla mitologia germanica: paffuta, rosea, con una pelle luminosa e insaponata come un Rubens. Diversamente da lei, lui era piccolo, scontroso, scuro di carnagione con labbra viola e denti verdognoli.

Anche un altro grande nostro amico soggiornava alla pensione (sebbene per un breve periodo), l’architetto Ràfols — uno degli uomini più brillanti e sereni che abbia mai conosciuto. Faceva affidamento su uno scarso finanziamento che riceveva (sempre in ritardo) dal Council for Further Study. Nonostante la sua povertà estrema, Ràfols non si è mai allontanato dalla routine nella vita quotidiana. Andava a messa ogni giorno, scriveva una lettera giornaliera al suo caro amico Enric C. Ricart e c’era un mendicante a cui non mancava di donare una precisa somma, anche nei suoi periodi disperatamente più poveri.

Non ho quasi bisogno di aggiungere che Llimona e Ràfols, come il messicano ed io, diventammo più saggi piuttosto che ricchi a Firenze, se devo essere sincero. Le nostre discussioni nei diversi caffè che abbiamo vistato e le nostre interminabili conversazioni mentre passeggiavamo lungo le prestigiose rive dell’Arno erano in quanto ad abbondanza e qualità inversamente proporzionali ai nostri magri introiti. Il nostro tavolo era sempre vuoto, ma le nostre idee e le nostre speranze non erano mai fluite così facilmente, coraggiosamente e magnificamente come allora.

Pla documenta una parte di questo viaggio nel libro La vida amarga (1967) che include aneddoti, diari, saggi e memorie sui luoghi da lui visitati in diverse parti d’Europa e in cui, complice il suo sguardo attento ai dettagli e al localismo, appare chiara la sua ricerca della vera essenza dell’Italia attraverso la cultura.

Sarebbe stato facile e piacevole passeggiare verso Palazzo Pitti da dove eravamo, per trascorrere qualche ora tra i meravigliosi cipressi del Giardino di Boboli. Dovevamo solamente attraversare l’Arno. La Casa Reale d’Italia aveva da poco donato i giardini e il palazzo alla città di Firenze e la gente vi si riversava in gran numero. D’altro canto, faceva caldo. Il caldo di Firenze è umido e appiccicoso e famoso in tutta Italia per essere opprimente. Se un posto prometteva un po’ di sollievo era quella concentrazione di piante e quegli ampi pendii erbosi. Ciononostante, la malefica passione del messicano per l’arte, a cui non osavamo opporci, ci tenne lontano da questi eleganti piaceri notturni.

Quindi girammo in Via di Porta Santa Maria, con le sue eco medievali, camminammo oltre il Battistero, il Campanile e Santa Maria dei Fiori, ovvero la cattedrale della città, sormontata dal duomo di Brunelleschi, e ci dirigemmo verso Palazzo Medici Riccardi, dove trascorremmo molte ore a osservare il Corteo di Lorenzo il Magnifico dipinto da Benozzo Gozzoli. Poi entrammo in via Cavour, dove c’era un grande caffè accentuato da un quintetto che affascinava il messicano. Era un edificio spazioso, dominato da un’ampia terrazza e da un palco dove suonavano quattro giovani uomini pallidi e un giovane arpista ingobbito. In quel momento della notte, potevamo sentire il distante suono raschiante delle corde nel caldo opprimente della strada deserta.

Le strade del centro di Firenze sono parecchio strette — le più larghe sono della dimensione del Carrer de Ferran di Barcellona. Il tono generale della città è molto austero, a differenza di altre città italiane che sembrano più tranquille e più affabili. Ci sono archi, portici o colonne. Le pareti scure e annerite dei grandi palazzi antichi assomigliano alle pareti di una fortezza. La pietra è densa, sorprendentemente voluminosa e di qualità. È probabile che nessun’altra città in Europa possieda monumenti con tali linee drammatiche o di una presenza esplicita e dinamica come Firenze. Il centro città è austero ma ardente e gode di una tensione che i secoli non sono stati capaci di domare. È il luogo in Italia dove la brama continua a raggiungere le temperature più alte.

Nell’ottobre 1922 lo scrittore si trova a Firenze, dove è testimone oculare della Marcia su Roma e della formazione del primo governo fascista, di cui scrive per il giornale «La Publicitat». Nel quotidiano «El Sol», il 1° dicembre dello stesso anno, Pla afferma: «Il fascismo è un amalgama della plutocrazia protezionista (agraria, metallurgica e marittima), del nazionalismo della maggioranza degli intellettuali, del nazionalismo e del realismo appresi dall’opera di Maurras1Charles Maurras (1868–1952) è stato un giornalista, saggista, politico e francese, leader della formazione di estrema destra Action Française, fondatore e direttore dell’omonimo quotidiano nazionalista monarchico e dell’ideologia denominata maurrassismo. e dalla massa che l’altro ieri era socialista e la scorsa settimana comunista. Tutto questo, animato da un uomo provvisto del fisico per il ruolo: Mussolini».

© R. Dimas

Quando il leader socialista Giacomo Matteotti viene rapito e ritrovato assassinato a Roma nel giugno 1924, Pla scrive: «Il fascismo non è altro che il metodo di lavoro della casta capitalista italiana. Questa casta oggi non ha alcun controllo e quindi deve essere governata dalle leggi della voracità». In un articolo successivo aggiunge: «È un peccato dover parlare in questo modo, ma è opportuno che tutti lo sappiano. È particolarmente opportuno che lo sappiano i miei amici che un anno fa mi hanno criticato per il mio antifascismo. Il fascismo è questo: una bolla sinistra, durante la cui vita si contano quattromila morti [in Italia]. Nulla di più. Dio perdoni i morti e soprattutto perdoni i vivi!».

Oppresso dagli eventi politici e dalla guerra europea in corso, Pla vive per alcuni anni in una sorta di esilio interiore in diverse località della Costa Brava, alla ricerca di un senso di identità e di consolazione, con l’intento di parlare delle persone più semplici, come i pescatori, i contadini e gli artigiani. La vista della natura lo delizia e il contatto con la realtà più rurale si riflette nella sua produzione di quegli anni, sottolineando la scoperta del paesaggio e del mare, con un marcato accento soggettivo che segna l’inizio della sua brillante maturità letteraria.

La sua scrittura, sviluppata attorno alla costante presenza di un “io” che scrive, è lo sguardo di un uomo che attraverso l’adesione al linguaggio e a determinati paesaggi si sente capace di interpretare il mondo e di riorganizzarlo attraverso la propria penna, creando forme d’identità che sono il risultato dell’osservazione del paese e dei suoi abitanti. In questo modo, il paesaggio e le persone si fondono insieme, in una totalità, senza elementi di interposizione, in una geografia umana in cui il linguaggio viene inteso principalmente come capacità di donar la realtà immediata, come se la lingua potesse rivelare il mondo. Secondo lo scrittore, il mondo è soddisfacente così com’è e per questo non è necessario utilizzare parole per costruirne altri, che siano fittizi o simbolici. Allo stesso modo, nel libro autobiografico El quadern gris (1966) esprime un pensiero simile: «Se potessi imitare, creare un altro mondo, immaginerei questo stesso mondo».

Josep Pla
Josep Pla nella sua casa a Llofriu, 1975.

All’età di 84 anni, Josep Pla si spegne il 23 aprile 1980 – in un giorno che sedici anni dopo sarebbe diventato da allora importante per il mondo del libro e del diritto d’autore – lasciando pubblicati 38 volumi della sua Obra Completa, mentre altri documenti inediti verranno progressivamente pubblicati postumi. Con oltre trentamila pagine di prosa, il lascito di Pla rappresenta uno dei contributi più preziosi alla cultura catalana come esempio fecondo della letteratura locale contemporanea.

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