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Mio amato ragazzo

Quindici anni di amicizia artistica-letteraria tra Hendrik Christian Andersen e Henry James ricostruiti attraverso il loro carteggio tra sogni, delusioni e indiscrezioni.

Nel suo saggio La decadenza del mentire, Oscar Wilde dichiara che la vita imita l’arte più di quanto l’arte imiti la vita. Mai affermazione sembra più vera come nel caso del rapporto tra l’artista Hendrik Christian Andersen e lo scrittore Henry James. Il loro incontro somiglia alle vicende del romanzo Roderick Hudson pubblicato nel 1875 e scritto da James più di venti anni prima che incontrasse Andersen. Il libro narra di un ricco scapolo appassionato d’arte, Rowland Mallet, che tramite la cugina conosce lo scultore Roderick Hudson, un giovane studente di legge che per diletto scolpisce nel tempo libero. Mallet offre a Hudson un’ingente somma di denaro per la realizzazione dei suoi futuri lavori, permettendogli così di trasferirsi in Italia.

Hendrik Christian Andersen, come il protagonista del romanzo, è un giovane scultore trasferitosi dagli Stati Uniti in Europa e poi a Roma dove viene preso sotto l’ala protettrice di James che, come l’immaginario esteta Rowland Mallet, spinge l’artista a impiegare il proprio estro creativo per creare opere capaci di affascinare ma soprattutto di vendere. Ciò che accomuna Andersen a Hudson è invece l’intenzione di scolpire il marmo per dare forma a figure mastodontiche e al contempo semplici nella loro vastità. È proprio questa volontà che creerà disaccordo nell’amicizia tra lo scultore e lo scrittore, perché James suggerisce ad Andersen più volte di abbandonare i lavori di sculture di nudo invendibili e di concentrarsi invece nella produzione di opere piccole e vendibili.

Andersen nel suo studio a Roma nel 1916.

Quello tra Andersen e James è un rapporto quasi prettamente epistolare. Sembra infatti che i due artisti si siano incontrati solamente circa sette volte nel corso di un’amicizia intensa iniziata alla fine dell’Ottocento e terminata nel 1915 (l’anno prima della morte di James), quando il loro affiatamento era ormai scemato del tutto. 

Henry James e Hendrick Andersen
Hendrik C. Andersen e Henry James.

La loro corrispondenza (o meglio, le lettere scritte da James) offre un interessante spaccato del loro legame e aiuta a ripercorrere i progetti e gli avvenimenti fondamentali della vita dell’artista norvegese. Quest’amicizia è stata anche argomento di discussione in merito alla sua natura, che secondo alcuni appare come un vero e proprio amore tra Andersen e James. Il loro carteggio aiuta e facilita la comprensione di questo rapporto fugando qualsiasi dubbio, perché da parte di James sembra che ci sia stato un amore immenso ma platonico nei confronti di Andersen che incarna per lo scrittore quegli ideali di bellezza, giovinezza e intelletto che potevano ricordargli se stesso da giovane. Nel 1902, il fratello di Andersen, Andreas, muore di tubercolosi. James scrive in una lettera all’amico:

9 febbraio 1902

Mio caro, caro, carissimo Hendrick,

le tue notizie mi riempiono di orrore e di pena, e come posso esprimere la tenerezza con cui mi fanno pensare a te e il doloroso desiderio di esserti vicino e di stringerti tutto tra le mie braccia? Il cuore mi sanguina e mi si spezza alla vista di te solo, nella tua malvagia e indifferente, antica e lontana Roma, con l’afflizione di questo dolore insopportabile, ineluttabile. Il senso che non posso aiutarti, vederti, parlarti, toccarti, tenerti stretto a lungo, e fare qualcosa perché tu possa appoggiarti a me o sentire la mia profonda partecipazione — tutto questo mi tormenta, carissimo ragazzo, mi fa sentire angoscia per te e me, mi fa digrignare i denti e mi fa gemere per l’amarezza delle cose.1H. James, Amato ragazzo. Lettere a Hendrik C. Andersen (1899-1915), a cura di R. Mamoli Zorzi, Venezia, Marsilio, 2000, p. 87.

Ma le tendenze artistiche megalomani di Andersen alla fine deteriorano il rapporto con James: il culmine giunge con la nascita del progetto utopico di Andersen di realizzare la cosiddetta “Città mondiale”, una metropoli perfetta dal punto di vista urbano, ricca di arte e soprattutto di quell’arte monumentale che James tanto detestava. Secondo il piano di Andersen, infatti, quella doveva essere un’«ampia e nuova città internazionale, nella quale le più grandi manifestazioni della civiltà umana vengano concentrate da ogni parte del mondo, per poi nuovamente essere riversate, coordinate e dirette, in torrenti apportatori di bene e progresso sul mondo intero».2Ibid., p. 272. Più precisamente, in una delle sole tre lettere ad oggi pervenuteci tra quelle indirizzate a James, Andersen gli spiega nel dettaglio il suo progetto, elencando i numerosi edifici che sarebbero stati costruiti all’interno della sua Città mondiale: «istituti per l’educazione superiore, tempio delle religioni, edifici congressuali per scienza, diritto, educazione, medicina, edifici per le ambasciate, […] Tempio dell’arte, musica e dramma, scuole per queste arti, centro per la cultura fisica e uno stadio più grande del Circo Massimo, giardini zoologici e giardini botanici, […] stazioni, ospedali, spazi per affari, mercati, teatri, quartieri operai, chiese, complessi abitativi, ferrovie sotterranee, insomma tutto quello che una moderna città dovrebbe avere per facilitare agili comunicazioni, igiene e comfort».3Ibid., p. 280. 

Veduta a volo d’uccello del progetto per la Città Mondiale.

Nella loro corrispondenza si può leggere come James ribadisca più volte il suo disappunto e la sua delusione di fronte a un tale progetto che gli appare vasto, vago, privo di significato, pregando addirittura Andersen di non interpellarlo nuovamente sulla questione, consapevole che la sua reazione avrebbe rattristato l’artista.

Purtroppo, sono questi cambi di rotta nella vita artistica di Andersen a determinare un progressivo allontanamento epistolare da parte di James, che però non rinnega mai l’affetto e il sentimento che lo legava da oltre 15 anni all’artista norvegese. Per il resto della sua vita, Andersen continua a scolpire per svago e su commissione, proponendo in diversi paesi europei il suo progetto della “Città mondiale”, che sembra poter essere messo in atto prima in Belgio e poi nei pressi di Roma. Alla fine del 1940, Hendrik Christian Andersen muore silenziosamente a Roma e lascia allo Stato italiano la sua abitazione e tutte le opere in essa contenute che tuttora, a distanza di oltre ottant’anni, vengono ammirate nella sua casa-museo di Villa Helene dove il tempo sembra essersi fermato.


Per approfondire

Henry James

Amato ragazzo
Lettere a Hendrik C. Andersen 1899-1915

a cura di Rosella Mamoli Zorzi
Marsilio, 2000, pp. 312
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