Nel 1920, l’ormai noto scrittore e musicologo Romain Rolland – aveva nel frattempo vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1915 – dà alle stampe Pierre e Luce, un’«incantevole novella» (parole di Zweig) incentrata sulla nascita di un amore al tempo della Prima guerra mondiale.
Rolland, come racconta egregiamente Zweig nello scritto posto al fondo del volume, aveva speso gli anni della Grande Guerra in Svizzera non smettendo mai di denunciare l’orrore in cui era precipitato il mondo e lo stravolgimento, anzi, la distruzione di una serie di ideali a lui cari, come quelli della fratellanza e dell’unità dell’Europa; ed è appunto in difesa di questi ideali – e probabilmente con la consapevolezza della necessità di una voce razionale in mezzo a quell’«epoca di crisi e confusione» generale – che egli diviene, come scrive ancora Zweig, «la voce dell’Europa nel momento della sua agonia più profonda. Egli diventa la coscienza del mondo». Nel 1914, come riporta l’autore austriaco, Rolland ha modo di scrivere: «Provo un’agonia nel mio morale allo spettacolo di questa grande umanità che offre i suoi tesori più preziosi, le sue energie, il suo genio, l’ardore del sacrificio eroico agli idoli assassini e stolti della guerra. […] L’insensatezza di tutta la mia vita è ora completa. Voglio addormentarmi per non svegliarmi mai più».
Questo breve ritratto di Rolland è a mio avviso imprescindibile per comprendere con quale spirito, finita la Grande Guerra, egli si trovi a scrivere Pierre e Luce: la guerra è finita, è vero, ma gli impatti che essa ha avuto non lo sono affatto. Così, Rolland traspone la vicenda in una Francia del 1918, appunto, sotto gli attacchi nemici, e affida a Pierre e Luce, questa coppia di giovanissimi protagonisti (lui borghese, lei di estrazione più povera), l’onere di mostrare quali effetti devastanti – materiali e immateriali – la guerra abbia prodotto, quali ideali abbia spezzato nel modo più indifferente e tragico a cui si possa pensare.
Il loro è un amore che nasce spontaneo: da un incontro fugace, mentre tutt’intorno i rumori della battaglia annunciano indefessi la sua ineludibile presenza, da uno sguardo inatteso, la fiamma tra loro si accende; così «attraverso gli occhi di lui, lei entrò nel suo cuore, vi entrò completamente; e le porte si chiusero. I rumori esterni tacquero. Silenzio. Lei era lì»; «l’amore era nato sotto l’ala della morte».
E il loro amore, nel racconto di Rolland, si oppone alla bruttezza, alla stoltezza, all’insensatezza della guerra e della follia che li circonda. È indubbiamente questo costante confronto a rendere interessante quest’opera. Con grande lirismo, Rolland racconta sopra ogni cosa, m’è parso, la perdita di senso subita da tutti e da tutte. Nessuno sembra essere più in grado di dare un senso a quello che sta loro accadendo: «Pierre […] soffriva per la sofferenza universale. […] Ma ciò che non esagerava, e che lo opprimeva molto più della sofferenza del mondo, era l’imbecillità di tutto questo. Si può soffrire, si può morire, se solo si riesce a capirne il senso. […] Ma per un adolescente, qual è il senso del mondo e dei suoi conflitti?»
Nel discorso di Rolland, dunque, pronunciato dai suoi protagonisti, viene messo in evidenza come la guerra, questa oltremodo esigente forma di riscossione, richiede tutto, anche il senso di ciò che ci impone di fare. Ma che cosa può mai essere la vita se, peraltro, in un momento di estrema instabilità e precarietà come quello prodotto dalla guerra, è privata pure del senso? Ce lo dice, con la sua acutissima capacità di penetrare il reale, proprio Luce: «È come galleggiare su una tavola in mare aperto, sul punto di rovesciarsi».
Ci sono allora «momenti… momenti in cui», come dice sempre Luce, «ci si vergogna di appartenere al genere umano», ma ci sono anche momenti, come quell’incontro inaspettato e felice tra Pierre e Luce e l’amore che li avviluppa, che si oppongono al tragico buiore e alla mancanza di senso prodotti dalla guerra, donando una speranza e un rinnovato senso, tanto che si può persino avere l’ardire di pensare a un domani: «Il domani? Il domani è morto. Ma nel cuore dei due giovani, il domani era risorto.»
Pierre e Luce è un’ulteriore prova di «quell’elevato idealismo», come ebbe a dire il comitato per il Nobel, che connota la sua produzione letteraria ed è pure, allo stesso tempo, un mirabile esempio della capacità, dimostrata da Rolland e riconosciuta dallo stesso comitato, di comprendere e amare la verità.
Non credo, infine, ci possano essere parole migliori di quelle scritte da Zweig per sintetizzare Pierre e Luce, anche in rapporto a Rolland stesso: «Questa novella è la strofa silenziosa nel suo poema di lotta contro un’epoca, e riflette la purezza del suo essere e lenisce il suo dolore in un bel sogno».
Pierre e Luce
Romain Rolland
Lo scrittore francese Romain Rolland dipinge con le tinte delicate di un acquerello il tenero idillio d’amore tra due giovani nella Parigi straziata dalla Prima guerra mondiale. Nella loro estasi, lo spazio e il tempo svaniscono. Il loro amore sembra cancellare la follia e l’odio negli altri esseri umani e nei fanatici patrioti votati alla guerra.